PRIMA TAPPA: ISTANBUL

Situata lungo lo stretto del Bosforo, fra l’Europa e l’Asia, Istanbul, è da sempre, un crocevia di culture e una delle capitali del mondo. È stata una delle città più importanti dell’antichità, capitale dell’impero romano d’oriente e fino al 1922 capitale dell’impero ottomano.

Oggi, la Istanbul contemporanea è una megalopoli di 15 milioni di abitanti, che, pur mantenendo il fascino della sua storia, convive con le sue mille contraddizioni.

Vi ho trascorso solo alcuni giorni. Pertanto le mie sono solo le osservazioni di uno sguardo curioso. Non quelle di un esperto.

La prima. Istanbul viene dipinta come una vittima del conflitto fra le sue due anime: quella moderna, laica e occidentale, e quella tradizionalista ed islamica. Certo: queste sue componenti esistono e sono distinte. Ma non ho osservato fra di loro un contrasto, ma, piuttosto, una convivenza pacifica. La noti quando incontri una ragazza vestita con lo chador e gli abiti della tradizione islamica, accanto alla sua amica truccata e con la minigonna. Oppure osservando i fedeli che rispettano gli orari della preghiera e qualche ora dopo, magari lungo le stesse vie, i giovani che gozzovigliano fino a notte fonda nelle strade della città.

La seconda impressione. Istanbul è una città militarizzata. Questo sì, è innegabile: le forze di polizia e l’esercito sono onnipresenti. Ci sono militari e agenti in divisa, ad ogni angolo, lungo ogni strada e agli ingressi di ogni monumento. E ci saranno, come in tutti quegli stati in cui la sicurezza dello stato e’ ritenuta a rischio, altrettanti agenti in borghese.

Non è una bella immagine: racconta un paese in guerra. Ma racconta anche contraddizione non risolta, perché in Turchia è proprio l’esercito il custode e il garante dell’ordinamento democratico. Così detta, infatti, la costituzione di Ataturk e questo aspetto è difficile da capire per noi europei che associamo l’esercito a situazioni di guerra e a governi autoritari.

La terza impressione. Il vero contrasto — molto evidente — è invece quello fra ricchezza e povertà. Le contraddizioni di una metropoli dove convivono, uno accanto all’altro, gli alberghi extralusso e le baracche, a testimonianza di una città, la cui aspirazione è divenire una nuova Parigi, ma che rischia ogni giorno di sprofondare nella sua povertà.

Quarta ed ultima impressione. Che può sembrare banale, ma non lo è: Istanbul è una città turca. Scrivendo questo, voglio solo evidenziare che la Turchia, e Istanbul, sono un mondo a parte, legato e influenzato dalle culture che le sono vicine, ma caratterizzato da forti tratti distintivi e di unicità. D’altra parte, la Tuchia è sempre stata un ponte fra culture diverse, ma uno stato e un impero fieramente indipendente. Ad esempio, la sua lingua, il turco, è profondamente diversa sia dalle lingue occidentali che dall’arabo e il persiano e costituisce un ceppo linguistico a sé stante. I tratti somatici della sua gente, che richiamano influenze arabe e greche, europee e persiane, sono diversi da quelle dei popoli confinanti. Il cibo, che riprende sia i gusti forti dell’anatomia sia la freschezza del mediterraneo. E tante altre cose.

Ma d’altra la storia del popolo turco è una grande storia. E alcune sue figure, come quella di Ataturk, meritano di essere studiate con curiosità 

 

 

SECONDA TAPPA: RAGIONANDOCI UN PO’ SU

Dicevo: l’esercito. Senza dubbio, l’aspetto che mi ha più stupito è la presenza per le strade, massiccia ed invadente, dei soldati in tuta anti sommossa, sui camion blindati e con il mitra a tracolla.
Noi europei, e noi italiani in particolare, abbiamo sviluppato una specie di allergia per l’esercito: lo associamo a periodi cupi del continente, a guerre, dittature e colpi di stato. Riteniamo che una presenza troppo forte dell’esercito, nelle strade e nelle istituzioni, sia indice di una società e di una democrazia debole, se non di una vera e propria dittatura.
Ma è così anche in Turchia? Qui l’esercito svolge un ruolo diverso e diverso è stato il suo ruolo nella costruzione dello stato.
La moderna Turchia nacque dopo la Prima guerra mondiale sulle ceneri dell’impero ottomano. Il suo fondatore, il padre della patria è stato Mustafa Kemal Ataturk. Militare di carriera, ufficiale brillante e uno dei migliori comandanti dell’esercito ottomano durante le guerre degli anni ‘10 e la Prima guerra mondiale; di umili origini, probabilmente massone. Grazie al suo prestigio militare che Ataturk organizzò e comandò, dopo l’armistizio che pose fine al conflitto, l’esercito di liberazione turca. E scacciò sia le forze alleate, sia il Sultano riunificando il paese, fondando nel 1923 la Repubblica di Turchia.
Guidò lo stato fino alla sua morte, nel 1938. E durante la sua presidenza pose le basi per la modernizzazione dello stato. Fra le sue riforme: abolì il califfato e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, proibì l’uso del velo islamico nei luoghi pubblici, adottò l’alfabeto latino, il sistema metri decimale, il calendario gregoriano, abrogò’ tutte le norme giuridiche che richiamavano la legge islamica e adottò un codice civile che prese invece a modello il codice civile svizzero e un codice penale che prese a modello il codice penale italiano. In politica estera, pur essendo un militare, ripudiò la guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali.
E’ stato il fondatore dello Stato. Ed è tuttora venerato e oggetto di una sorte di religione civile. Questo è evidente a chiunque visiti la Turchia: il suo volto è onnipresente. Nei manifesti, nelle fotografie nei negozi e negli uffici, nei murales, accanto alle bandiere. E’ dappertutto.
Ma torniamo all’esercito. Ecco, nella costituzione kemalista, a difesa della laicità dello Stato contro i possibili tentativi dei movimenti islamici, Ataturk pose proprio l’esercito, ultimo custode della costituzione. È autorizzato anche a colpi di stato per difendere la secolarizzazione. Diversamente dalla nostra esperienza, l’esercito è quindi una forza genuinamente modernizzatrice ed è custode formale della laicità e della democrazia turca.
Ed è il più numeroso esercito della Nato: 425.000 attivi e 200.000 riservisti.
Quindi, alla luce di tutto questo, torniamo all’esercito per le strade. Come giudicarlo? Meglio: come lo giudica la popolazione turca? Per il popolo turco quei soldati, quei mitra spianati e quelle divise protette da giubbotti antiproiettile cosa sono? Quei controlli, capaci di immobilizzare una megalopoli di 15 milioni di abitanti (perché cosi è stato il 1 maggio per il timore che le manifestazioni dei sindacati sfociassero in scontri) sono una garanzia per la libertà e la democrazia? O sono visti come una sua limitazione, come una forza di oppressione? O semplicemente è qualcosa a cui turchi sono abituati, a cui non fanno più di tanto caso?
Ecco, io non conosco il popolo turco, la sua storia, la sua cultura, a sufficienza per avere una mia opinione. E, congedandomi da Istanbul e dalla Turchia, questa rimane per una domanda aperta, a cui spero un giorno di potere rispondere.
 
 

         

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