PRIMA TAPPA: RITORNO A LONDRA
Non andavo a Londra dal 1996, letteralmente una generazione fa. Per capirci, nel 1996: David Beckam, ora arzillo cinquantenne, era una giovane promessa, mentre Tony Blair era una solo l’astro nascente del Labour.
Ebbene, mi è piaciuta la capitale della perfida Albione dopo cosi tanto tempo? So and so.
Mi piaciuta la sua capacità di coniugare passato e presente. Ad esempio: la capacità di far convivere, in armonia, uno accanto all’altro, i grattacieli di vetro e le costruzioni medievali; i pub degli anni 60 (alcuni, probabilmente, mai riammodernati e lavati da allora) e i locali dell’avanguardia; oppure ancora: l’ostinazione a non abbondare i taxi vecchio stile o gli autobus a due piani, con al contempi, l’uso, per prima o quasi, dell’ultima innovazione di Uber.
Questa caratteristica, l’abilità di far convivere, senza frizioni evidenti, passato e presente, tradizione e modernità mi è piaciuta. E non è frequente. Per capirci, non è così in tutte le altre capitali del mondo: New York è una città esclusivamente proiettata al futuro, dove il passato, anche recente, viene spazzato via dall’ultima idea o dall’ultima speculazione; Roma, al contrario, si compiace, troppo, del suo passato e il tentativo di innestare la modernità (qualsiasi cosa questa parola significhi) risulta innaturale. Londra, invece, no; ed è probabilmente questa sua capacità uno dei suoi principali punti di forza.
Mi è piaciuta, poi, ma solo in parte, la sua ambizione di essere una delle capitali del mondo. Piaciuta, perché Londra è oggettivamente una città globale. Tuttavia – quantomeno così mi è parso – interpreta questo ruolo rimanendo, essenzialmente, la capitale dell’(ex) impero britannico. . Mi spiego: incontrando gli sguardi delle persone, ascoltando le loro voci, incontri davvero il mondo intero. Ma il filtro sottostante, il legame invisibile, che unisce queste storie e questi popoli è il legame con l’impero inglese. Non so se la brexit, e il conseguente abbandono di Londra da parte di molti europei, ha reso questa caratteristica più esplicita, ma questa mia sensazione è stata netta visitando la città. E, per citare due altre metropoli, non ho vissuto la stessa sensazione, camminando per New York e Berlino; la prima perché probabilmente é davvero la capitale del mondo e, solo per inciso, una città degli Stati Uniti; la seconda perché forse ne ha viste talmente tante nell’ultimo secolo che vuole lanciarsi in quello nuovo, lasciandosi il passato alle spalle.
Insomma, Londra fra le capitali del mondo, ma, in primo luogo, capitale dell’(ex) impero. Con tutto quello che di potente, ma anche anacronistico, c’è in questa definizione.
SECONTA TAPPA: CAMMINANDO LUNGO IL TAMIGI
L’enfasi con cui i paesi europei esaltano la propria passata gloria militare mi sorprende sempre. Londra, non fa eccezione. Pensateci un attimo e, con il pensiero, provate a camminare per la città.
Siete a Westmister, il cuore della democrazia inglese: lì accanto potete osservare, in sequenza: il ministero della difesa, l’ammiragliato, l’ex quartiere generale dell’esercito e diversi musei (fra le bellissime Cabinet Rooms di Churchill), che ricordano le vittorie dell’impero britannico.
Ora, andate a nord: St. Paul. Mentre salite sulla cupola, fate attenzione però a non inciampare fra le tombe di soldati e condottieri, e pensate alla cripta; qui riposano: l’Ammiraglio Nelson, il duca di Wellington, Churchill e tutti i più grandi generali della corona.
Ora continuate a scarpinare e prima di tuffarvi nell’arte sconfinata del British Museum, date un occhio a Trafalgar Square: anche lì troverete sempre l’Ammiraglio Nelson, che vi controlla dall’alto.
Non fermatevi – pant, pant – dirigetevi ancora più a nord, e prima di rapinare una delle banche della city, cosa trovate? Un bell’incrociatore, con i cannoni puntati verso l’alto, piazzato in mezzo al Tamigi.
Mi fermo qui, perché a furia di camminare qui state consumando le scarpe. E insieme a voi mi siedo in un pub a scolarmi una birra.
E mi chiedo: perché? La ragione è – probabilmente e semplificando – che le nazioni europee sono nate con il sacrificio di (milioni) soldati e di (alcuni) generali. E che il Regno Unito le sue guerre le ha vinte e, sempre semplificando, è anche stato, il più delle volte, dalla parte dell’etica e della morale.
Però insomma, cavoletti, perché in cima a Trafalgar Square, ci deve stare l’Ammiraglio Nelson. E non Shakespeare? O John Lennon?