PRIMA TAPPA: ARRIVO AD HANOI

Arrivo ad Hanoi. Ed eccoci arrivati in Vietnam, ad Hanoi, dopo un viaggio interminabile: tre voli, tre paesi, due visti, due notti in bianco.

La prima impressione è di un paese caratterizzato da contrasti.

Da una parte il comunismo reale, visibile nei dettagli più banali come le uniformi della guardia di frontiera, probabilmente regalati ai Vietcong dall’armata rossa di Krusciov, o come i pulmini turistici, così simili al parco macchine dell’Italia del boom.

Dall’altra un paese che prova a rivolgersi al futuro. Lo fa in groppa a migliaia di motorini, che avendo ormai sostituito le biciclette, letteralmente invadono le strade. E lo fa affollando le strade di gente indaffarata, di piccole attività commerciali, di ambulanti e di chioschi e ristoranti improvvisati. Di chiasso, odore e sudore.
Lo fa, soprattutto, con la forza della sua giovinezza. E questa — ci penso mentre siamo sorpresi da un nubifragio tropicale e vedo i bambini giocare felici sotto la pioggia — e’ e rimane la vera differenza dell’Asia. Pensate: il Vietnam, uno di medie dimensioni in Asia, conta 94 milioni di abitanti, cioè ben più della Germania.

Ma ora è tempo per uno spettacolo con le marionetta, una cena improvvisata a base di mad fish -si, pesce fango…- e una birra insieme ai miei compagni di viaggio. Domani iniziamo per davvero.

Medium: Vietnam, – prima tappa

SECONDA TAPPA: ZIO HO ED I TRENI AD ALTA VELOCITA’

Secondo giorno dedicato ad Hanoi, la capitale del Vietnam, uno degli ultimi baluardi del comunismo reale e patria dello Zio Ho.

Ci fanno da guide tre studentesse universitarie. Il tour inizia passeggiando per la città vecchia, dove visitiamo il tempio della letteratura e altri edifici storici.
Ma il pezzo forte della mattinata e’ la visita a piazza del popolo e al mausoleo dello zio Ho, come qui chiamiamo il padre della patria Ho Chi Min. Il monumento a Suo ricordo e’ al centro di una piazza immensa, a metà fra la Piazza Rossa e Norimberga (siamo our sempre nei tempi del sovranismo), delimitata dai palazzi del governo e del partito e usata per le adunate del Popolo. Ed e’ difesa da alcune giovanissime reclute che intimano di allontanarti non appena ti avvicini troppo al mausoleo.

A parte l’ironia la biografia di Zio Ho e’ interessante. Considerato il padre della patria, e’ una sorta di stella polare dell’indipendenza per tutta l’indocina. Per la prima parte della sua vita ha viaggiato in Europa facendo il lavapiatti, il giardiniere e ogni sorta di lavoro umile; ha imparato le maggiori lingue europee e si è avvicinato al partito comunista. Tornato in patria, ha fondato il partito (movimento a meta’ fra il comunismo internazionalista e il nazionalismo vietnamita), condotto, con una marcia simile a quella di Mao, la lotta per l’indipendenza e fondato lo stato, guidando la prima parte della guerra. Personaggio storico interessante che andrebbe studiato di più.

Dopo questa immersione nel comunismo reale, il pomeriggio e la serata sono stati dedicati ai treni. Eh si perché ad Hanoi, oltre a qualche milione di motorini, qualche centinaio di migliaia di auto e qualche decina di bicicletta, c’è anche il treno. Solo che passa letteralmente in mezzo alle case, si passeggia in mezzo ai binari, attraverso un passaggio non più largo di tre metri, stretto fra le case, con i binari al centro. Quando passa il treno bisogna accostarsi, rasenti al muro e farsi il segno della croce.
Ma le avventure con i treni non sono finite perché la nottata la passeremo sul treno Hanoi Lao Kai, dove per percorrere 340 km ci metteremo circa 9 ore. Dovete infatti sapere che il governo vietnamita ha in programma un formidabile piano di ammodernamento della ferrovia, che porterà i treni del paese a sfrecciare ad una velocità media di 90km/h entro i prox venti anni. Nel frattempo, l’Unione sovietica ha regalato al paese dei comodissimi vagoni letto, modello Breznev. Ed e’ qui che trascorremmo la notte. Ma questo ve lo racconto domani.

TERZA TAPPA: IL TRENO DI BREZNEV E PASSEGGIATA NEL FAGO (CIOE’ NELLA RISAIA) 

Vi avevo lasciato con il trenino di Breznev; ebbene, una vera e propria esperienza mistica.

Imbarco ore 20:30, partenza ore 22:00, arrivo ore 6:30; totale km percorsi 340; tempo di percorrenza 8:30 minuti.

L’ultima volta che ero stato in cuccetta era il 1996: gita scolastica di terza da Padova a Napoli. Anche quella fu una esperienza mistica, ma questa la batte di sicuro: c’è la vecchina con il carrello con le birre e le cibarie che va su e giù lungo il treno, le cuccette con i piumoni offerti dal partito, un ufficiale (bhe forse un ufficiale no, diciamo un controllore) che dorme in ogni vagone e che prima della partenza sosta fuori dalla carrozza in attesa, seduto su una seggiola per accogliere i passeggeri. Poi certo c’è il wi-fi in ogni carrozza ( e forse questa modernità da 21esimo secolo quando cerchi faticosamente di superare gli anni 70 del ventunesimo…insomma qualche pensiero dovremmo farlo).
E poi certo ci siamo noi, 18 persone in corridoio che bevono birra — per la felicità dei vietnamiti nelle altre cuccette — come una scolaresca degli anni 80.
Il viaggio, giusto ripeterlo una seconda volta, e’ stato una esperienza mistica: cuccette lunghe 1.70 per una mia lunghezza di 1.95, totale ore di sonno 2, forse meno.

Insomma, facendola breve, freschi e riposati arriviamo a Sapa. E ci prepariamo alla attività del giorno: il tracking nella risaia. Solo che piove (credo da un mese un mezzo), c’è una umidità del 95 per cento… e insomma bisogna prepararsi come Rambo nella giungla. Ci procuriamo quindi degli stivaloni di gomma e via, partiamo. Il tracking dura alcune ore, attraversando diverse colline coperte di riso, diversi villaggi, e imbarcando tonnellate di fango (almeno io che avendo il 45, avevo trovato solo degli stivaloni numero 43… sono ruzzolato — più volte — nel fango…).
E abbiamo modo di vedere diverse minoranze etniche; in Vietnam ce ne sono circa una trentina, non tutte benvolute. Tanta povertà e semplicità, ma non miseria (e comunque la Coca Cola e il WiFi ci sono dovunque..).
E poi finito il tracking, il tempo di una doccia per togliersi di dosso una tonnellata di fango e poi salta la luce e quindi … alla prox tappa.

Medium: Vietnam, terza tappa

QUARTA TAPPA: HALONG BAY – DA SAPA ALL’ARCIPELAGO CREATO DAL DRAGO

Ed eccoci arrivati alla terza tappa: Halong Bay.

Ma prima di arrivarci il nostro consueto percorso ad ostacoli.
Il primo e’ una frana, causata dalla leggera pioggerellina autunnale del giorno prima, che sembra avere bloccato la ferrovia, rendendo incerta la partenza del treno fino al tardi pomeriggio.
Il secondo e’ fare la doccia a Lao Chai: siamo sprovveduti e prendiamo due stanze in un albergo di fronte alla stazione senza controllarne lo stato. E quindi entrati in stanza, la sorpresa: era chiaramente un albergo a ore, ma, diciamo, non usualmente utilizzato dai viaggiatori per fare la doccia aspettando il treno.
Ma in qualche modo sopravviviamo anche a questa e per il resto il viaggio prosegue liscio.

La mattina dopo arriviamo ad Halong Bay, una delle tappe principali del viaggio.
Halong Bay e’un arcipelago di 2000 isole, situato nel golfo del Tonchino. La leggenda racconta che la baia sia stata creata da un drago mandato dagli dei per difendere il Vietnam dagli invasori cinesi (eh si, la storia vietnamita e’ piuttosto travagliata). Questo drago sputo’ nel mare dei gioielli, che si trasformarono negli isolotti che puntellano la baia, dando ai vietnamiti un appoggio per combattere gli invasori.
E, in effetti, la baia e’ un gioiello: centinaia di isolotti, coperti da una foresta tropicale che cadono a fitto nel mare. In alcuni punti sembrano un mondo perduto ancora incontaminato. Anche se purtroppo non è sempre così: nei secoli la baia e’ stata teatro di diverse guerre; durante la guerra con gli USA, molti canali furono minati e in alcune zone la navigazione non è ancora completamente sicura.

Ma soprattutto e’ ora invasa dai turisti: decine di navi, che imbarcano a loro volta decine di turisti, salpano ogni giorno, rischiando di rovinare quello che sarebbe altrimenti un paradiso.

Medium – Vietnam, quarta tappa

QUINTA TAPPA_ HUE E HOI AN, UN VIETNAM PIU’ LENTO

Proprio in mezzo al Vietnam, fra Hanoi, la città tradizionale e del partito, e Saigon, la città, che con i suoi night e le sue luci, insegue la modernità, ci sono Hue e Hoi An.
Dove abbiamo incontrato un paese diverso.

Sono città di dimensioni contenute, più vicine agli standard occidentali. Con strade piene di ristoranti e di caffè alla moda (bhé magari non proprio all’ultimo grido) e piene di negozi per lo shopping (questi si davvero tanti), in particolare di sartoria.

Ma sono anche città dove, nelle stesse vie affollate di turisti occidentali (parecchi) e cinesi (tantissimi!) puoi assaporare, fra le pagode e le case in stile coloniale, il sapore antico del Vietnam imperiale e osservare l’influenza della cultura giapponese e cinese.

Ma, soprattutto, al di la e più di tutto, la sensazione che ho avuto,in particolare ad Hoi An, e’ questa: sono città più lente.
Dove il tempo e la vita seguono un ritmo più rilassato.
E questa è una caratteristica rara in Asia. Un continente dove le città sono attraversate, dall’alba al tramonto, da un ritmo convulso e frenetico, che spesso mi disorienta e lascia senza fiato.

Ma ormai il viaggio volge al termine: prossima tappa sarà il Delta del Mekong. E poi si torna a casa.

SESTA TAPPA: SAIGON, CITTA’ DI NIGHT, PUTTANE E SPIE. E DELLA GUERRA NEL VIETNAM

Saigon e’ stata negli anni 60 e 70 del 900, e prima ancora durante la guerra con i francesi, una città di night, puttane e spie.

Era la città che ospitava il governo del Vietnam del Sud e il quartiere generale americano. La città dove i soldati, in licenza dagli orrori e dalla guerra, si concedevano un whisky e una scopata. Ed e’ stata il teatro principiale degli intrighi, dei doppi e tripli giochi, della guerra indocinese e di un pezzo della guerra fredda,

Ma ora? Cosa rimane di quella città nella moderna Ho Chi Min City? Rimangono le puttane, i night e il whisky, ma non sono un elemento, diciamo così, originale; mentre le spie probabilmente agiscono in altri teatri.
Rimane l’ansia di futuro e la tenacia di una crescita disordinata, che non riesce ancora ad assorbire le sue sacche di povertà e di degrado. Ma anche questa fame la possiamo trovare in tante altre città dell’Asia e non solo.

E allora cosa rimane di quella Saigon di quaranta anni fa nella moderna Ho Chi Min city?

Forse, rimane proprio la guerra del Vietnam.
Si proprio lei: la fottuta guerra del Vietnam, come e’ chiamata in tanti film americani. O, come la chiamano qui, la grande guerra patriottica, a conferma che tutto dipende dall’angolo di visuale da cui lo si guarda.

Una guerra, che riecheggia in modo austero e solenne dai musei, dalle piazze e dalle bandiere issate sugli edifici governativi e nello stesso nuovo nome della città.

Ma una guerra che e’ al contempo ostracizzata, taciuta e forzatamente dimenticata dalle persone, ansiose di lasciarsi tutto alle spalle. E una guerra irrispettosamente irrisa dai locali della città (il più famoso locale della città si chiama Apocalipse Now…).

Una guerra con cui la nuova Saigon, città di night, puttane, grattacieli e povertà non ha ancora fatto completamente i conti.

 
          
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