PRIMA TAPPA: ARRIVO A TROMSO

Arrivati a Tromso. Estremo nord della Norvegia, 400 km sopra il circolo polare artico; clima temperato, siamo fortunati: il termometro, al nostro arrivo, segna solo -3.

Da qui partivano le spedizioni geografiche per la conquista del Polo Nord. Molti non tornarono. Fra quelli che tornarono, mi piace ricordare il nome di un norvegese: Fridtjof Nansen.

Uomo eclettico, fu uno dei grandi esploratori dell’800 (era un tizio che a 27 anni, nel 1888, provo’ ad attraversare la Groenlandia a piedi con gli scii da fondo). E poi fu accademico: zoologo, esperto di oceanografia, e neurologo.

Io, però, ne parlo qui perché fu un diplomatico, uno di quelli capaci di lottare per la pace. Alto commissario della Societa delle Nazioni, curó durante la prima guerra mondiale l’assistenza agli sfollati, garantendo protezione a milioni di persone. Concluso il conflitto, si inventò il passaporto Nansen, un documento per i profughi e i rifugiati, che contribuì a salvare centinaia di migliaia di vite fra le due guerre. Pose le basi per la nascita di UNHCR.

Una bella biografia, che mi piaceva ricordare in questi tempi un po’ cupi, di muri che si alzano e di frontiere che si chiudono.

SECONDA TAPPA: IN SLITTA A -25 GRADI

Da Tromso ci spostiamo verso l’interno a Moen, avvicinandoci alla Lapponia e alla Finlandia. Anche la temperatura cala: da -3 a -10 e poi -15.

Arrivati al rifugio, come prima cosa, ci fanno aggiungere addosso strati di vestiti. Mi sembra esagerato, ma, mi accorgerò poi, sto sbagliando.

Siamo nella notte polare e il sole non si alza mail nel cielo ed i colori rimangono sempre freddi. La stessa luna, quando sorge verso le 13, si staglia enorme sopra le montagne su un cielo freddo, azzurro e blu. Guardandola, mi aspetto che un elfo spunterà dal bosco.
Siamo intirizziti per il freddo e prima di partire la nostra guida, un vichingo simpaticissimo, che però guardo con orrore perché ha la barba ghiacciata, ci insegna come governare la slitta.

Il giro poi e’ divertentissimo, ma la temperatura cala ancora. Sicuramente a -25, probabilmente -30; mani e piedi sono ghiacciati ed e’ talmente freddo che non riesco a usare la macchina fotografica nemmeno con i guanti (mi conoscete: sapete la sofferenza)

Finito il giro una zuppa calda, e questa volta la apprezzo anche io che non sopporto le zuppe. E poi torniamo a Tromso. Il nostro traghetto parte all’1:30. Ma prima di imbarcarci c’è ancora il tempo si vedere il cielo striato di verde dall’aurora boreale…

TERZA TAPPA: TROMSO – ANDOYA

Oggi spostamento: ci imbarchiamo all’una di notte da Tromso diretti a sud, all’isola di Andoya.
Il traghetto appartiene alla flotta dei postali, in origine l’unico mezzo trasporto fra le isole del nord. Ora sono una altra cosa: quella su cui siamo saliti ha tutti gli optional compresa una colazione che farebbe stramazzare un rinoceronte e una jacuzzi sul ponte, dove alcuni temerari hanno fatto il bagno alle otto di mattina.
Arriviamo ad Andoya alle 10.30 di mattina quando il sole e’ già alto….ehm, c’è già un po’ di luce. E la veduta del fiordo, con le montagne innovate mozza il fiato.

Una volta attraccati, attraversiamo l’isola diretti ad Andenes, all’estremo nord dell’isola, sul mare artico, dove c’è il porto più vicino alla zona dei capodogli e delle orche.

Durante il viaggio abbiamo tempo di fermarci per fare alcune foto ed io ho tempo di imparare qualcosa in più si questi luoghi.

Leggo che questa regione e’ stata scoperta da noi europei del sud nel 1431 quando un mercantile veneziano, il Querina, naufraga in queste acque sull’isola di Rhost e i superstiti sono costretti a rimanere qui tutto l’inverno. Qui scoprono la vita di questa regione, caratterizzata dalla pesca, in particolare del merluzzo, e dalla sua lavorazione. Ne scriveranno un resoconto da poco pubblicato.

Leggo stropicciandomi gli occhi che oggi nei soli due mesi dedicati alla pesca del merluzzo ne vengono pescate 250.000 tonnellate (si, ho scritto giusto). E che in queste acque, grazie alla presenza del plancton e di un micro clima particolare, vive più della metà (si, ho scritto giusto)dei pesci che ci sono nei nostri mari.

Arriviamo a notte inoltrata, cioè alle tre del pomeriggio. Nevica, fa freddo e tira vento. Non è limpido, quindi niente aurore boreali.

QUARTA TAPPA: ANDENES, WHALE SAFARI E BACCALA’

Obiettivo del giorno: avvistare le orche e i capodogli.

Sveglia in piena notte, cioè alle otto del mattino. Buio pesto, nevischia. Arriviamo all’imbarco, ma causa maltempo la partenza non e’ confermata. Dobbiamo aspettare che arrivi la luce, in modo che il capitano possa scrutare il mare e decidere se si può salpare. Alle dieci il verdetto: “We try”, ci dice. Quindi, si va.

Nel frattempo abbiamo studiato, scoprendo che al largo di Andenes, a 15 chilometri dalla costa, in pieno Mar di Norvegia e vicini al mar di Berents,cioè accanto al Mar Glaciale Artico, e’ situato un canyon naturale, dove le acque sprofondano centinaia di metri. Qui migrano ogni anno alcuni miliardi di aringhe per riprodursi. E qui, attratti dal cibo, sono numerose diversi cetacei. E li che siamo diretti.

Ma questa e’ la teoria. La pratica e’ che fa un freddo porco e si balla come sulle montagne russe. Molti partecipanti, me compreso, hanno il mal di mare. Dondoliamo circa un’ora fino a quando il capitano riesce ad identificare i capodogli e ci dirigiamo verso di loro.

Mentre siamo sballottati, respiro a pieni polmoni quest’aria gelata, guardo il mare, io suo colore torbido, tra il grigio e il nero, e le montagne innevate sullo sfondo. E cammino sul ponte, reso viscido da un misto di ghiaccio, salsedine e catrame. Sono tutti ossimori per me, italiano, abituato a identificare la neve con le dolomiti e la salsedine con l’azzurro del nostro mediterraneo.

Alla fine la fatica e’ premiata: avvistiamo due capodogli e riesco persino a fotografarli.
Dico meglio: quasi premiata. Dopo aver visto la seconda coda immergersi in mare, anche il mio stomaco cede alla nausea…

Ma la giornata non è finita: c’è ancora tempo per salire in cima al faro per vedere il tramonto infinto di queste latitudini e per escursione notturna.

Camminiamo circa una ora e mezza in mezzo alla neve e in riva al mare sotto un cielo nuvoloso. La guida ci indica le tracce delle otarie e ci mostra le trincee usate dai tedeschi nella seconda guerra mondiale (eh si, fino a quassù siamo stati capaci di portare la guerra…).
Dopo una ora e mezzo di cammino ci aspetta una cena a base di baccalà, cotto alla norvegese, cioè bollito con un pugno di sale, un bicchiere di vino e il premio finale. Perché cielo si schiarisce e compare l’aurora boreale.

QUINTA TAPPA: AURORE BOREALI

Giornata dedicata agli spostamenti: da Andenes ci muoviamo verso sud a Svolvaer, penultima tappa del viaggio, dove festeggeremo il capodanno. Trascorriamo quasi tutta la giornata in traghetto.

Ed è quindi il tempo delle chiacchiere. E dello studio delle aurore boreali. Che cosa ho imparato?

Che in tutte le culture sono associate al soprannaturale e alla magia: per alcuni popoli sono le manifestazioni degli spiriti, per altri sono elfi e folletti, per altri ancora sono i defunti. La leggenda piu’ divertente racconta che siano generate dagli spiriti degli antenati, che giocano a pallone con il teschio di un tricheco.
In verità sono un fenomeno ottico dovuto all’interazione del vento solare con la nostra atmosfera. Questa interazione, vicino ai poli magnetici, crea delle bande luminose, che colorano il cielo: di verde e, più raramente, quando è più intensa, di giallo o di rosso.
Detta la teoria la prassi è la seguente: le aurore si vedono quando il cielo è sereno e, ovviamente, quando questo fenomeno è presente.

Quindi, in estrema sintesi: ci vuole culo.

Io l’ho avuto sia a Tromso che ad Andenes. Ma riponiamo tutti grandi speranze nella notte di Capodanno: le previsioni indicano bel tempo e una attività solare intensa.
E le nostre aspettative non sono deluse. Appaiono sia prima della mezzanotte, sia a notte inoltrata, quando il cielo è limpido e sono molto visibili.

Come sembrano? Rispetto alle fotografie, dal vivo i colori sono piu’ sfumati, ma riesci a cogliere la loro dinamicità: si muovono rapidamente da una parte all’altra del cielo, scomparendo e ricomparendo continuamente.

Ovviamente, però, non siamo diligenti: facciamo un gran casino e non rispettiamo la regola di osservare le aurore boreali in silenzio. La leggenda racconta che, facendo troppo rumore, si attira l’attenzione degli spiriti che potrebbero scendere dal cielo e rapire i trasgressori….

SESTA TAPPA: AQUILE DI MARE

Penultimo giorno di viaggio, siamo quasi alla conclusione. Prima di tornare, però, c’è ancora tempo per due sorprese; la prima è datata 1/1/2018 e sono le aquile di mare.

L’appuntamento è di primo mattino, a Capodanno, al porto di Svolvaer, dove arriviamo dopo una passeggiata di un paio di km dal campeggio al paese. Insomma, detto in altri termini: siamo costretti ad un’alzataccia. Ma ne vale la pena.

La gita consiste nell’uscire con un gommone per vedere da vicino le aquile di mare. Ma fa, ovviamente, freddo e navigare in mare aperto su una barca aperta, in inverno, nel nord della Norvegia sopra il circolo polare artico, in piena notte polare, non è propriamente una esperienza… come dire… ferragostana.
Prima di partire, quindi, ci fanno vestire: sopra i pantaloni da scii e la giacca pesante indossiamo anche una tuta spessa e impermeabile, guanti, occhiali contro il vento, cappuccio. Così conciati, sembriamo più che altro degli astronauti e ridendo a crepapelle facciamo anche un video imitando una scena del film Armageddon (a dire il vero, piu’ che Ben Affleck, io mi sento l’uomo piu’ goffo del mondo…. ma tant’è).

Alla fine, dopo avere indossato l’armatura, partiamo.
Il mare è calmo e quando entriamo nel fiordo, rasentando l’acqua con il gommone, siamo immersi in un paesaggio davvero surreale con i monti innevati che ci sovrastano, le pareti di roccia e di ghiaccio a picco sul mare, che anche in questo caso riflette un colore plumbeo, tra il grigio e il nero. E’ un paesaggio Inospitale e aspro, ma anche, al contempo, potente e incontaminato.

Dopo poco, finalmente le vediamo, le aquile. Le guide le attirano gettando in mare dei pesci, in cui iniettano con una siringa dell’aria, per farli divenire più leggeri e farli rimanere a galla più’ a lungo. E così facendo, dopo poco le vediamo a pochi metri da noi: prima volano sopra le nostre barche e poi, all’improvviso, si gettano in picchiata, afferrando il cibo e spiccando di nuovo in volo. E’ uno spettacolo raro, perché le aquile sono rapaci in via di estinzione; hanno il loro habitat in regioni inospitali (il nord europa e l’Asia del nord, in particolare) e non è facile vederle. Si cibano di pesce e sono capaci di volare radente all’acqua, tuffandosi anche quando necessario per cacciare il cibo.

Dopo un paio di ore, siamo di ritorno. Siamo quasi alla fine del viaggio, non prima, pero’, di una ultima cena a base di merluzzo e dell’ultima escursione attraverso l’arcipelago.

          

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